Ho incontrato questo libro quasi per caso, prima che vincesse la 77° edizione del Premio Strega. Non ho nemmeno letto la trama, ho lasciato che a decidere sul mio acquisto fosse lo stupore legato alla biografia dell’autrice. E’ da un po’ che amo ricevere i libri, più che ragionarli. Eppure, a poche righe dall’incipit, scopro che quelle pagine regalate dall’intuito le avrei proprio scelte.
Ada è la mamma di Daria, una bambina affetta da oloprosencefalia congenita. Daria è la figlia di Ada, una donna “cancerosa” (n.d.a.) la cui malattia acquisita diventa una nuova occasione di scoperta della propria identità. Le lettere dei loro nomi si confondono, così come i loro corpi, uniti nell’attaccamento più primario, quello del contatto fisico. Come si crea un legame affettivo quando ci è negato l’uso di alcuni sensi? Come si comunica quando a mancare è la parola? E cosa accade al nostro senso di identità quando viviamo in una (duplice) malattia? Una necessaria compenetrazione.
In Come d’aria, Ada d’Adamo rompe il confine tra normale e straordinario, guida il lettore in una lenta ascesa dal grossolano al sottile, dal palpabile all’impalpabile, regalando un’eredità che ci interroga sul ruolo della malattia e della morte nel significato stretto della nostra stessa esistenza. Eredità, perché Ada, come avrete capito o come saprete già, non c’è più. Eppure sembra di averla qui in ogni pagina: dalle osservazioni fresche e attuali di politica, a quelle di lettura, arte e quotidianità.
Una danza la sua che continua a volteggiare grazie a una consapevolezza intima e centrata sul presente che solo l’esercizio della ripetizione di gesti e comportamenti sa dare.
Per quelle persone che hanno incontrato diversi ostacoli sul loro cammino e non sanno più con chi prendersela, una lettura che restituisce un senso alla diversità attraverso una visione dall’alto a quel giorno dopo giorno che chiamiamo vita.
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