Riserva cognitiva: il salvadanaio delle esperienze

DSCN1745Da qualche anno a questa parte si è affacciato sul territorio scientifico internazionale un curioso concetto teorico, capace di rivoluzionare il nostro modo di concepire il tempo. Si chiama “riserva cognitiva” ed è il bagaglio che ognuno di noi tiene da parte per rendere il proprio cervello pronto ad affrontare le avversità. Potremmo definirlo come una sorta di salvadanaio cerebrale, che riempiamo fin dai primi anni della nostra vita di esperienze.

Studi recenti in ambito neuroscientifico hanno, infatti, dimostrato come persone con un più elevato livello di scolarità, incarichi lavorativi più richiedenti e/o uno stile di vita esperienzialmente più ricco giungano all’attenzione clinica per patologie neurologiche di varia eziologia (in particolare demenze) qualche tempo dopo rispetto a persone meno scolarizzate e/o occupate aventi lo stesso grado di patologia cerebrale. Per intenderci, se il Presidente della Repubblica Italiana e un individuo poveramente abitudinario avessero in questo momento un danno cerebrale identico per demenza di Alzheimer, non sarebbe assurdo riscontrare che il primo continui a lavorare normalmente anche per qualche anno e che il secondo trovi già oggi difficoltà di gestione del suo quotidiano.

La spiegazione di tutto ciò deriva dal fatto che, facendo esperienza del nuovo, il cervello umano rinforza e crea nuove sinapsi (strutture di comunicazione fra neuroni), utilizzando un maggior numero di reti cerebrali e riuscendo, in caso di necessità, a trovare strategie alternative di compenso per la soluzione di problemi. Semplificando, è come se la nostra materia grigia fosse un complesso sistema commerciale costruito su isole, collegabili tra loro da un numero minore o maggiore di vie di comunicazione (minore o maggiore scolarità, attività lavorativa, attività nel tempo libero). Risulta chiaro come più numerose o di migliore qualità risulteranno tali vie, minore sarà il danno derivante dal crollo (danno neurologico) di una di esse.

Se inizialmente questo concetto teorico era relegato al solo territorio della demenza di Alzheimer, oggi esso è stato esteso anche ad altre patologie neurologiche (es: sclerosi multipla, ictus, trauma cranico) e psichiatriche (es: depressione, disturbo bipolare), nonchè alle normali funzionalità cognitive dei soggetti sani.

[Si veda, per chi desidera approfondire, un mio articolo del 2013 relativo alla “riserva comportamentale” sulla rivista di divulgazione scientifica online State of Mind]

La gestione del tempo libero, scolastico e lavorativo diventa così un fondamentale focus preventivo per le attuali e future generazioni, rendendo le avversità patologiche, seppur spesso infauste, maggiormente controllabili. Ciò che non sappiamo ancora, tuttavia, è quanto tale gestione possa proteggere anche da tipi di avversità riscontrabili al di fuori del contesto ospedaliero e, se vogliamo, comuni ad un più ampio bacino di persone (es: un lutto, un licenziamento, un divorzio, …).

A livello preliminare, sarebbe auspicabile che ognuno di noi si applicasse fin da subito in tal senso, anche chi ha basato gran parte della propria esistenza sulla pigrizia. Se è vero, infatti, che le prime esperienze di vita sono fondamentali per la costruzione di una robusta riserva cognitiva, è altrettanto vero che non è mai troppo tardi per riempire questo salvadanaio e con efficacia!

Suonare uno strumento, scrivere un racconto o addirittura un libro, cucinare un piatto diverso dal solito, guardare un film western anche se è sempre stato un genere indigesto, cambiare strada per andare al supermercato, provare un’esperienza di volontariato, un corso di lingua straniera o di strumento, rispolverare delle vecchie scarpe da ginnastica e provare a correre dopo una vita dedicata alla propria mente più che al proprio corpo…

Spesso non è necessario avere una disponibilità economica o una salute impeccabile per aprirsi al nuovo. Ognuno ha la sua giusta rivoluzione delle abitudini a cui dedicarsi. Basta avere il primo e fondamentale ingrediente di questa ricetta: la volontà di sperimentare altre parti di sè o, se preferite, la volontà di costruire altre robuste e nuove vie neuronali.

Fonti:

  • Stern Y. Cognitive reserve. Neuropsychologia (2009); 47(10): 2015-2028.
  • Sumowski JF, Rocca MA, Leavitt VM, Dackovic J, Mesaros S, Drulovic J, DeLuca J, Filippi M. Brain reserve and cognitive reserve protect against cognitive decline over 4.5 years in MS. Neurology (2014); 82(20): 1776-1783.
  • Nunnari D, Bramanti P, Marino S. Cognitive reserve in stroke and traumatic brain injury patients. Neurol. Sci. (2014); 35(10): 1513-1518.
  • Forcada I, Mur M, Mora E, Vieta E, Bartrés-Faz D, Portella MJ. The influence of cognitive reserve on psychosocial and neuropsychological functioning in bipolar disorder. Eur Neuropsychopharmacol. (2014) [Epub ahead of print]
  • López ME, Aurtenetxe S, Pereda E, Cuesta P, Castellanos NP, Bruña R, Niso G, Maestú F, Bajo R. Cognitive reserve is associated with the functional organization of the brain in healthy aging: a MEG study. Front Aging Neurosci. (2014); 6:125.